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Jacques Brianti
25 août 2011

Jacques Brianti, texte exposition Ca' la Ghironda, été 2011

“Non bisogna giudicare Dio da questo mondo, perché è soltanto uno schizzo che gli è riuscito male” diceva  così, pessimisticamente, Vincent Van Gogh. E certe volte, chi non lo ha veramente pensato, preso dalle costanti tensioni a cui l’uomo contemporaneo è sottoposto. Affrontando la pittura di Jacques Brianti in un primo momento ho creduto che l’artista ponesse una riflessione estetica pessimistica sul mondo, ma, dopo un’attenta riflessione sulle differenti componenti delle sue opere, ho riscontrato che egli non rappresenta una conclusione, non si sofferma sul tema in maniera passiva, ma lo elabora, lo destruttura e lo amalgama mediante un’efficacia gestuale e cromatica vitale e di grande enfasi.

Così, più che condividere la tesi di Van Gogh, oserei dire che il Brianti ci mostra piuttosto a volte il problema, altre volte il quesito altre volte ancora la bellezza del mondo traguardato dalla sua lente di ingrandimento di artista sensibile e dotato, come se l’artista stesso si trovasse lì, sopra tutti, a basculare tra il bene e il male, tra i messaggi commerciali e le mode, tra le malattie e le gioie, sospeso su di un’immaginifica altalena lì per aria, fra le nuvole:  la sua lente, la sua altalena, la sua “finestra sul mondo”.

All’interno della mostra allestita nello Spazio Atelier del Modern Art Museum di Ca’ la Ghironda, possiamo osservare un importante percorso che lega i differenti periodi di produzione artistica di Brianti grazie ad una particolare continuità rappresentata dai materiali più disparati utilizzati spesso in maniera non convenzionale e che dettano una filologia dallo sviluppo costante e profondo. Se tecnicamente l’arte di Brianti poggia su una composizione stilistica legata ai grandi classici dell’arte contemporanea, l’artista reinterpreta in maniera efficace ed originale, proprio dalla sua finestra sul mondo, una visione del contesto sociale dove l’apparenza spesso prevale nei confronti dell’essenza.

Rinnegare la sola apparenza per riappropriarsi dell’etica degli esseri umani è l’appello che lega la poetica di Brianti ai suoi lavori. La figurazione per Brianti sembra così essere l’elemento di attrazione, o meglio di introduzione per una lettura semiotica del nesso intercorrente tra l’opera iconica e l’astrazione con cui poi l’artista ci affascina.

Quindi è una “lotta” fra elementi e cromie, fra segni premonitori ed eventi inquietanti, fra icone intimiste - o di richiamo all’equilibrio naturale e sovrannaturale, talvolta - e altrettante distorte visioni di corpi vagamente apocalittici e scomposti di ispirazione dantesca. Ecco: il ricorrere a corpi, spesso nudi e distorti, così come a colori stridenti, ma accattivanti, da parte del Brianti lanciano spazi di riflessione, di rivisitazione in chiave moderna di tematiche care al mondo in cui viviamo ma altrettanto care, e forse mai insoluti, ai temi posti al centro delle letterature classiche, poi riviste nelle tecniche stilnoviste. La pittura di Brianti, così, viene a comporsi in un’articolazione di sicuro effetto narrativo, oltre che indubbio valore estetico, che coinvolge elementi complessi ed in equilibrio, sospesi tra una stabilità funzionale ed un viaggio astrale, con alto contenuto ritmico e sequenziale.

Grazie alla conoscenza e alla sperimentazione di svariati materiali, Brianti ripercorre efficacemente il nuovo modo di esprimere la pittura in chiave moderna, l’opera d’arte, progettando realtà che assemblano magnificamente la materia e il gesto pittorico in un unico corpo artistico, quasi come se l’artista sentisse l’esigenza di varcare i confini dei limiti canonici dell’arte di maniera per proporre nuove espressioni e orizzonti. Così all’interno della mostra l’osservatore si trova immerso in un magma composito, fra visioni frammentarie ed effimere, e fra ricercate finezze figurativo-estetiche. E’, l’artista Brianti, il narratore del proprio vissuto, un traghettatore, un Ulisse disperso tra i flutti di quel che potrà essere e di quel che invece è stato, il fedele custode, a volte, delle memorie del suo tempo narrando i disagi e le incongruenze della nostra epoca, tra codici e visioni che emergono in maniera virulenta e affascinante.

Che il Brianti ci appaia, così, anche come l’artista della nuova era di comunicazione,  forse. Penso, però, e per di più, che il Brianti sia uno di quei rari artisti che sappiano leggere intimamente, e ognuno con le proprie caratteristiche, il suo tempo; penso con convinzione che sia fra i promotori di una figurazione dall’impatto provocante, subliminale, ammaliatore, in un continua alternanza di situazioni e scenografie in equilibrio fra realtà, coscienza e apparizioni. E potrei concludere che il Brianti è, si, e certamente, un artista di grande tecnica e visione estetica, ma soprattutto - e, viva Iddio, senza il pessimismo di Van Gogh - un profondo “poeta del momento”, un pittore che vive tra pulsioni di delicato amore e ardore di energie vitali che lottano contro le distorsioni e le esasperazioni di una società in cui l’uomo, benché protagonista, si manifesta in tutte le sue contraddizioni.

Vittorio Spampinato

 

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